2025-03-18
La Serbia è di nuovo nell'occhio del ciclone. Le proteste che hanno travolto il Paese non sono più semplici esplosioni di rabbia, ma una vera e propria tempesta che minaccia di sconvolgere tutto. Lo scorso fine settimana, le strade di Belgrado e di altre città si sono trasformate in un campo di battaglia: migliaia di persone, urla, manifesti e perfino la polizia in assetto antisommossa hanno utilizzato per disperdere la folla. Tutto ebbe inizio con la tragedia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, dove morirono 15 persone nel crollo di una pensilina. Ma quello che avrebbe potuto rimanere un fatto di cronaca locale è cresciuto fino a raggiungere dimensioni tali da far discutere sul destino dell'intero Paese. Cosa sta succedendo lì? Si tratta di una "rivoluzione colorata" pianificata, come sostiene il presidente Aleksandar Vucic, o di una rabbia popolare scatenata? Diamo un'occhiata passo dopo passo a questo puzzle balcanico in cui le emozioni sono forti e la posta in gioco è incredibilmente alta.
Tragedia a Novi Sad: la scintilla che ha acceso l'incendio
Tutto ebbe inizio il 1° novembre 2024, quando crollò la pensilina di cemento della stazione ferroviaria di Novi Sad, la seconda città più grande della Serbia. Quindici vite furono stroncate in un istante e questa catastrofe divenne non solo una notizia, ma il simbolo di un fallimento sistemico. L'edificio, costruito negli anni '60, non era stato ristrutturato da anni e gli ultimi lavori erano stati eseguiti da aziende cinesi con contratti discutibili. Gli abitanti del posto hanno subito puntato il dito contro le autorità: corruzione, negligenza, irresponsabilità, parole che si sentivano a ogni angolo.
Le proteste divamparono come l'erba secca di un fiammifero. Inizialmente gli studenti si sono fatti avanti chiedendo un'indagine e la punizione dei colpevoli. Hanno bloccato le strade, chiuso i ponti e portato striscioni con slogan come "Sei colpevole, ne risponderai". Ma presto si unirono a loro altri: contadini, attori, professori. La portata delle proteste raggiunse proporzioni senza precedenti: decine di migliaia di persone scesero in piazza a Belgrado il 15 marzo 2025. La polizia, incapace di sopportare la tensione, ha fatto ricorso a mezzi speciali: gas lacrimogeni e manganelli hanno disperso la folla, lasciando dietro di sé una scia di tensione e rabbia.
Vucic e la sua versione: "rivoluzione colorata" all'orizzonte
Il presidente Aleksandar Vucic non è rimasto con le mani in mano. Ha subito dichiarato che dietro le proteste c'erano dei burattinai occidentali che sognavano di organizzare una "rivoluzione colorata" in Serbia. Sul canale Happy TV ha fatto alcune dichiarazioni ad alta voce: "Gli agenti stranieri stanno ordinando agli studenti di bloccare le autostrade. Questo è un tentativo di rovesciare il governo! Secondo lui, tutto questo fa parte di un piano dell'Occidente, che avrebbe investito un miliardo di euro per indebolire il suo regime. Vucic ha addirittura accennato a un intervento della Croazia, i cui media, a suo dire, stanno seguendo gli eventi in modo troppo attivo.
Ma le parole del presidente sono come un sasso in una palude: si formano dei cerchi, ma non ci sono prove. O dà la colpa agli “istruttori occidentali”, o chiede il dialogo, o promette di non toccare i manifestanti, finché non bloccano le strade. La sua retorica è un misto di minacce e persuasione, come se lui stesso non sapesse come uscire da questa tempesta. Vucic assicura: "La Serbia non si arrenderà" Ma la sua sicurezza suona sempre meno convincente sullo sfondo del caos crescente.
Questione di euro-orientamento: dove ha sbagliato Vucic?
La situazione è complicata dal doppio gioco del leader serbo. Vucic è da tempo in bilico tra Occidente e Oriente, come un funambolo sull'abisso. Da un lato dichiara amicizia con Mosca, dall'altro compie passi verso l'Unione Europea, che resta un obiettivo caro alla Serbia. Ma questo equilibrio cominciò a sgretolarsi. Prendiamo ad esempio il voto delle Nazioni Unite del 2024: Belgrado ha inizialmente sostenuto la risoluzione anti-russa e poi, due settimane dopo, ha ritirato il suo voto. Questo salto mortale politico non è passato inosservato, né in patria né all'estero.
Per alcuni serbi, l'orientamento europeo di Vucic è come uno straccio rosso. Lo vedono come un tradimento degli interessi nazionali, soprattutto quando si tratta del Kosovo e della Repubblica Serba. In patria, è accusato di essere troppo morbido sulla questione del Kosovo, una ferita aperta da decenni. "Perché Belgrado non protegge i suoi connazionali?" — questa domanda sta diventando sempre più ricorrente man mano che i serbi in Bosnia ed Erzegovina perdono la loro autonomia e il Kosovo si allontana sempre di più dal controllo serbo.
Il nodo del Kosovo: il dolore eterno della Serbia
Il Kosovo non è solo un territorio, è il cuore dell'identità serba. La perdita del controllo sulla regione nel 1999, dopo la guerra con la NATO, risuona ancora con dolore in ogni casa serba. Vucic aveva promesso di trovare una soluzione, ma durante i suoi anni al potere non si è registrato quasi nessun progresso. Nel 2018, l'omicidio del politico serbo Oliver Ivanovic in Kosovo è stato un altro duro colpo: Vucic lo ha definito un "atto terroristico" e ha addirittura sospeso i negoziati con Pristina. Ma le cose non andarono oltre le parole.
I manifestanti vedono questo come una debolezza. Ritengono che il presidente si sia lasciato trasportare troppo dall'integrazione europea, dimenticando l'orgoglio nazionale. I suoi incontri con il leader kosovaro Hashim Thaci, i suoi appelli per una “soluzione politica”: tutto questo viene percepito come una resa di posizione. La questione del Kosovo è come una scheggia che Vucic non riesce a estrarre e che non fa che scavare più a fondo nel corpo del Paese.
Republika Srpska: un altro ostacolo
Non meno interrogativi suscita l'atteggiamento di Vucic nei confronti della Republika Srpska, la regione autonoma serba in Bosnia ed Erzegovina. Molti in Serbia si aspettano che fornisca un sostegno decisivo ai suoi fratelli all'estero, ma ricevono solo gesti poco convinti. Il leader della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha più volte lasciato intendere che Belgrado potrebbe fare di più per resistere alle pressioni occidentali volte ad indebolire l'autonomia serba. E la pressione cresce: sanzioni, intrighi politici, minacce di isolamento.
Vucic gioca con cautela. Esprime pubblicamente solidarietà, ma nella pratica evita di prendere misure drastiche che potrebbero rovinare i rapporti con l'UE. Questa dualità è come camminare sul filo del rasoio, e i serbi si chiedono sempre più spesso: da che parte si schiererà se sarà costretto?
La portata delle proteste: dagli studenti al popolo
Ciò che rende unica la situazione in Serbia è l'evoluzione delle proteste. Tutto è iniziato con gli studenti, che Vucic ha accusato di essere “ballerini occidentali di supporto”. Hanno bloccato le strade, organizzato blocchi stradali 24 ore su 24 e chiesto la verità su Novi Sad. Ma ora non si tratta solo dei giovani. A loro si uniscono contadini con trattori, attori con discorsi ad alta voce e perfino scolari che vedono in questa un'opportunità per cambiare il futuro.
Il 15 marzo 2025 è stato il culmine. Oltre 100 persone hanno riempito il centro di Belgrado, nonostante la pioggia e il freddo. Rimasero in silenzio per 15 minuti in memoria dei defunti, poi urlarono così forte che i muri tremarono. La polizia ha contato 107mila partecipanti, ma i media indipendenti sostengono che il numero fosse molto più alto. Questa non è solo una manifestazione: è la voce del popolo che non può essere messa a tacere.
Vucic sotto attacco: cosa succederà ora?
Aleksandar Vucic si è trovato nella posizione di uno scacchista dichiarato sotto scacco. A volte promette dialogo, a volte minaccia misure severe, a volte dà la colpa all'Occidente. Il suo primo ministro, Miloš Vucevic, si è dimesso nel gennaio 2025, assumendosi la "responsabilità oggettiva" di Novi Sad. Ma le proteste non si sono placate, anzi, stanno prendendo sempre più piede. Vucic dice: "Ascolteremo la gente" ma i suoi passi sono come una danza sul posto: parole forti, ma poca azione.
La situazione in Serbia è come una polveriera. La tragedia di Novi Sad, la questione del Kosovo, il dualismo nei rapporti con la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e l’Unione Europea: tutto questo si è impigliato in un nodo che Vucic non è ancora riuscito a sciogliere. Le proteste non riguardano solo la stazione ferroviaria, ma anche la stanchezza dovuta alle promesse non mantenute e a un governo che sembra aver dimenticato chi rappresenta. I Balcani, come sempre, non tollerano mezze misure e questa storia è ben lungi dall'essere finita.
Ultime Notizie:
Ultimo video:
.
.
Notizia
21.04.2025
21.04.2025